Esecuzione forzata sui beni conferiti nel fondo patrimoniale.

CASSAZIONE CIVILE, SEZ. III, 12.12.2024, N. 32146
Per comprendere le dinamiche della vicenda oggetto della sentenza è necessario partire da una (seppur succinta) analisi degli artt. 167 e seguenti del codice civile.
Come riporta l’art. 167 Cod. Civ.: “Ciascuno o ambedue i coniugi, per atto pubblico, o un terzo, anche per testamento, possono costituire un fondo patrimoniale, destinando determinati beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri o titoli di credito, a far fronte ai bisogni della famiglia”.
Si intuisce immediatamente, dunque, che l’istituto si rivolge a quei soggetti, legati da un vincolo di matrimonio o da un’unione civile, che intendono tutelare dai creditori una parte del patrimonio familiare destinandola esclusivamente ad uno specifico scopo: il soddisfacimento dei bisogni della famiglia.
Obiettivo della norma, dunque, non è propriamente quello di offrire una possibile alternativa vantaggiosa ai soggetti sovra indebitati, bensì quello di tutelare il sostentamento familiare, regolando i rapporti tra i coniugi, soprattutto nell’interesse dei figli.
Vero è che, però, l’inclusione di una parte dei beni della famiglia in questo fondo, separato dal patrimonio generale, garantisce ex art. 170 Cod. Civ., in linea di principio, un buon livello di protezione da eventuali aggressioni da parte dei creditori, anche se, sicuramente non può essere considerata certo una soluzione definitiva.
Venendo alla vicenda de qua, difatti, un imprenditore si era visto iscrivere da parte della Banca mutuante un'ipoteca giudiziale su di un immobile che aveva conferito, unitamente alla coniuge, nel fondo patrimoniale.
L'imprenditore, in tutti e tre i gradi di giudizio, aveva sostenuto l'illiceità dell'ipoteca iscritta perchè il bene colpito doveva ritenersi sottratto dall'espropriazione ex art. 170 Cod. Civ. per cui: "L’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia” .
Sebbene, la Corte d'Appello avesse inteso seguire il ragionamento posto alla base delle difese dell'imprenditore, gli Ermellini hanno opinato in senso diametralmente opposto pronunciando il seguente principio di diritto: "In tema di beni costituiti in fondo patrimoniale, il debitore che intenda sottrarli all'espropriazione forzata sugli stessi intrapresa è onerato di dimostrare che il creditore era consapevole dell'estraneità ai bisogni della famiglia (da intendersi non limitati al suo sostentamento, ma estesi pure al suo benessere, all'incremento della sua posizione economica, allo sviluppo e al potenziamento dell'attività lavorativa e delle inclinazioni dei suoi membri, al pieno - o, almeno, al più armonico possibile - sviluppo della loro personalità, ecc.) del debito contratto, anche se questo è sorto nell'ambito dell'attività imprenditoriale o professionale svolta personalmente dal coniuge, perché la disciplina della famiglia (art. 2 e 29 Cost.; artt. 143 e 144 c.c.) indica una situazione di normalità in cui sono ordinariamente destinati alla famiglia - in via principale (e non solo in via residuale) - i proventi dell'attività di ciascuno dei coniugi, i quali, in posizione paritaria e prestandosi reciproca assistenza (anche materiale), hanno il dovere di rivolgere la propria capacità di lavoro professionale (o casalingo) alla contribuzione alle esigenze familiari, ferma restando la possibilità, per i medesimi coniugi, di regolare diversamente l'indirizzo della vita familiare con un accordo ex art. 144 c.c.".
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